A cinquant’anni dall’assassinio di Pasolini, Daniele Piccione ricostruisce il contesto storico e politico degli anni Settanta, tra violenze, misteri e fratture della Repubblica.
A cinquant’anni dall’assassinio di Pier Paolo Pasolini, avvenuto nella notte tra il 1˚ e il 2 novembre 1975, all’Idroscalo di Ostia, è doveroso ricordare uno dei più grandi intellettuali, cineasti e letterati italiani, coscienza critica del Novecento. Ma è bene farlo andando oltre il mero delitto e collocando questo nella sua prospettiva storica.
Daniele Piccione riparte da ciò che è stato detto, da ciò che è stato rimosso e da ciò che si è scelto di non vedere. Ricostruisce la prima metà degli anni Settanta, un periodo segnato da stragi, violenze sommerse e giochi di potere annidati nelle pieghe della Repubblica. In particolare, risale alla strage di Piazza Fontana del dicembre 1969, innesco di una frattura profonda nella storia del nostro paese. Da quell’esplosione, Piccione fa iniziare, lenta e inesorabile, la lunga morte di Pasolini.
Daniele Piccione (Trieste, 1975) è consigliere parlamentare del Senato della Repubblica, già capo dell’Ufficio di segreteria della Commissione parlamentare d’inchiesta antimafia, avvocato, docente di Diritto costituzionale e saggista.
Tra le sue pubblicazioni: “I poteri pubblici nell’età del disincanto” (con G. Legnini, 2019); “Effettività costituzionale e coscienza collettiva” (2021); “Costituzionalismo e disabilità” (2023), “Il pensiero lungo. Franco Basaglia e la Costituzione” (2025).
Per Mimesis ha curato il volume “Il labirinto del Mostro di Firenze”(con L. Iovino e R. Taddeo, 2025). Insieme a Roberto Taddeo, è direttore scientifico del festival “Sommersi”, dedicato ai crimini e misteri italiani.
